lunedì 31 gennaio 2011

Contaminazioni nell'arte

"Di fronte alla parola contaminazione io faccio un passo indietro, perché la contaminazione in quanto tale è sem­pre esistita in qualsiasi arte e in qualsiasi parte del mon­do. La danza contemporanea, ad esempio, è un’eviden­te commistione tra i passi e i ritmi sudamericani e afri­cani e la tradizione europea. La musica di oggi è un fiu­me di derivazioni e di collegamenti. L’arte non ne parlia­mo. La contaminazione insomma fa parte degli organi genitali dell’arte, è la sua genesi, non può essere assunta come elemento programmatico dalle istituzioni. L’espe­rienza artistica nasce dal desiderio di qualcuno, che vi­ve nel mondo e subisce le influenze più diverse, di crea­re qualcosa: è evidentemente contaminata all’origine. Se invece con questo termine vogliamo intendere l’interdi­sciplinarietà tra generi, basta guardare la storia per ri­trovarne mille esempi, a partire dai testi shakespeariani. Non è un metodo per organizzare le cose, anzi l’in­terdisciplinarietà come metodo conclamato è appannag­gio delle istituzioni mediocri. Prima dell’interdisciplina­rietà infatti ci sono le discipline, ci devono essere musi­cisti, danzatori, attori. La comunicazione tra le arti, co­munque, è sempre esistita."
(Paolo Baratta)

mercoledì 26 gennaio 2011

Elogio dell'incertezza

Guaritori, astrologi, lettori di fondi di caffè, chiromanti, lettori d'aure, c'è un vasto assortimento di pazzi nel mondo, tutti con le mani infilate nelle tasche di gente debole, che vuole solo sapere cosa sta accadendo, che vuole certezze.
L'incertezza è la sola cosa che non si può vendere come una dottrina, ed è, molto probabilmente, l'unica che valga.

giovedì 13 gennaio 2011

Inadatti a vivere

I saggi si sforzano di insegnarci l'impassibilità, ma essendo nati da un atto di insubordinazione e di rifiuto eravamo poco preparati all'indifferenza, e a renderci del tutto inadatti è intervenuto il “sapere”. Il principale rimprovero che dobbiamo muovere nei confronti del sapere, è di non averci aiutato a vivere. Ma era poi quella la sua funzione?
Specializzati nelle apparenze, esercitati nei nonnulla, accumuliamo conoscenze che ne sono il riflesso, dato che la nostra scienza è riproduzione della nostra falsa innocenza.
Inadatti a vivere fingiamo la vita, e giacché il nostro culto dell'imminente si avvicina all'estasi, cadiamo in deliquio davanti a ciò che ignoriamo, davanti all'istante che attendiamo, in cui speriamo di esistere, e in cui invece esisteremo altrettanto poco che nell'istante precedente.
Avendo spogliato il presente della sua dimensione eterna, non abbiamo ormai altro che la volontà, nostra grande risorsa, e nostro castigo. Ma a furia di voler essere “altro”, finiamo per non essere niente.

mercoledì 5 gennaio 2011

La Cabala ebraica

"In ogni religione" scrive Z'ev ben Shimon Halevi "ci sono sempre due aspetti, quello visibile e quello nascosto". L'aspetto visibile si manifesta come ritualità, testi scritturali, funzioni religiose, quello nascosto alimenta la luce che dovrebbe illuminare quelle forme. Nel giudaismo, gli insegnamenti nascosti sono chiamati cabala. Questi insegnamenti, si dice, ebbero origine dagli angeli.
La cosmologia della cabala postula una realtà a più livelli: ogni livello è un mondo in sé completo, collocato gerarchicamente, e la parte superiore di ognuno corrisponde all'aspetto inferiore di quello sopra. La sfera più alta è quella di Metatron, l'arcangelo che insegna agli esseri umani.
Ogni livello incarna uno stato di coscienza, e la maggior parte delle persone sono ai livelli più bassi vivendo una vita meccanica, legata ai ritmi del corpo, alle reazioni e percezioni abituali. La cabala cerca di aprire gli occhi del discepolo sulle sue limitazioni e di educarlo a entrare nello stato di coscienza in cui può essere in sintonia con una consapevolezza più alta, non più schiavo dei condizionamenti.
Per diventare libero, l'aspirante cabalista deve per prima cosa cancellare le illusioni sui giochi della vita. Per compiere questo percorso, il cabalista deve osservare l'attività dello yesod (la sua mente o ego comune) in modo da percepire le sue autoillusioni e portare a consapevolezza le forze inconsce che regolano i suoi pensieri e le sue azioni. Questo livello di coscienza è detto tiferet. Il tiferet è al di là della mente ordinaria, qui l'ego è trasceso.
Gli elementi specifici dell'esercizio del cabalista variano da scuola a scuola, benché i cardini siano pressoché costanti. Uno dei sistemi più famosi è l'"albero della vita" (Sephiroth), una mappa delle gerarchie e degli attributi che interagiscono nel mondo e all'interno dell'uomo. L'albero è un'immagine attraverso la quale l'aspirante cabalista osserva la propria natura, ma i suoi studi non varranno a nulla se egli trascura il suo sviluppo spirituale. Il prerequisito fondamentale è l'esercizio del controllo sulla volontà, la capacità di mantenere l'attenzione e la consapevolezza. Per questo il cabalista si dedica alla meditazione.
Le istruzioni per la meditazione fanno parte degli insegnamenti segreti e, a parte le regole generali, non sono rese pubbliche. Ogni discepolo impara dal suo maggid. La concentrazione meditativa permette al cabalista di scavare nelle profondità di un particolare oggetto di meditazione (una preghiera o un aspetto dell'albero) e di arrestare così il suo pensiero. Questa focalizzazione è definita kavvanah.
Secondo la dottrina cabalistica la kavvanah senza la giusta guida ed una corretta preparazione spirituale può essere persino pericolosa.
La fine del cammino è il devekut, in cui l'anima aderisce a Dio. Quando il meditatore stabilizza la sua coscienza a questo livello, non è più un uomo normale ma uno zaddik, un santo, che è sfuggito alle catene del suo ego. Le qualità di chi abbia raggiunto questa condizione includono: imperturbabilità, indifferenza a lode o biasimo, mente quieta e controllata, capacità profetica.
(Fonte: D. Goleman)